Kammermusik
Riccardo Ballati
Passeggiando per i luoghi della memoria, attraverso quegli avvenimenti di musica, tanti, condivisi con folte schiere di amici con un obiettivo comune: l’ammirazione, la reverenza, il piacere di partecipare e di esaltarsi insieme.
Avrebbero potuto essere luoghi trasfigurati, come in una Parigi alleniana intorno alla mezzanotte quando Proust parlava con Debussy delle fanciulle in fiore su una terrazza delle udienze al Clair de Lune. Avrebbe potuto essere quando Claude e Maurice duellavano a colpi di quartetto per archi uguale, anzi, forse, uguale per niente.
Via de’ Rossi e dintorni sono sempre stati un proscenio cameristico da oriente a occidente.
Trapelavano, al tempo, notizie di corridoio secondo cui quelli del Quartetto Italiano in privato non si fossero proprio mai amati del tutto, ma quando li ho avuti lì da toccare con mano, divini, tante volte, finché è stato possibile, mi è sembrato che niente potesse scalfire la statuaria marmorea bellezza delle porposte interpretative dell’arco.
Schubert: La Morte e la Fanciulla. Un esempio limpido e sempiterno di un obiettivo compiuto e insuperabile.
Il Tokyo String Quartet è stato praticamente battezzato, cresimato e coniugato in Via de’ Rossi ancor prima che diventassero mondiali. È stato un ghiotto indimenticabile privilegio pari almenoa quello di aver visto e sentito, grazie a quel diavolo d’uomo del Lapini, Sviatoslav Richter al Teatro Manzoni, una sera di febbraio che avevo un raffreddore abissale pronto ad andarmene quatto nella penombra, mentre il russo, neanche una riga a memoria, voltapagine discreto e inappuntabile e abat-jour da comò acceso sopra il coperchio della tastiera del pianoforte, forniva inequivocabilmente dimostrazione di genio e si scuola. Solo dopo il concerto mi sono ricordato del raffreddore.
Musica per il cuore e per l’intelligenza; musica per giovani e vecchi; musica per tutti.